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LOST MEMORIES  ATTIVITÀ in CL aula 3.0 (special event 24-GENNAIO)

 

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IL SENSO DELLA BELLEZZA ARTE E SCIENZA AL CERN

 

 

Un film di Valerio Jalongo

Italia/Svizzera - 2017

Quattro anni dopo la sensazionale scoperta del “Bosone di Higgs”, il CERN è alla vigilia di un nuovo, eccezionale esperimento. L’esperimento è insieme un viaggio nel tempo più lontano e nello spazio più piccolo che possiamo immaginare.

Così, l’infinitamente piccolo e la vastità dell’universo schiudono le porte di un territorio invisibile, dove gli scienziati sono guidati da qualcosa che li accomuna agli artisti. Tra scienziati che hanno perso l’immagine della Natura, e artisti che hanno smarrito la tradizionale idea di bellezza, attraverso macchinari che assomigliano a opere d’arte e istallazioni artistiche che assomigliano ad esperimenti, emerge un ritratto di attività scientifiche e artistiche come indagine, come immaginazione, come autentico esercizio di libertà. 

Mentre il nuovo esperimento del CERN procede nella sua esplorazione della misteriosa energia che anima l’universo, scienziati e artisti ci guidano verso quella linea d’ombra in cui scienza e arte, in modi diversi, inseguono verità e bellezza. Tra queste donne e questi uomini alcuni credono in dio, altri credono solo negli esperimenti e nel dubbio. Ma nella loro ricerca della verità, tutti loro sono in ascolto di un elusivo sesto, o settimo, senso… il senso della bellezza.

 

Bibliolinkografia

https://youtu.be/zZQXQ-6T-FM trailer

https://youtu.be/wb_g1NpmWbo clip_ Quando la soluzione è semplice

https://youtu.be/MPK6SELu7Eg clip_La rottura della simmetria

https://youtu.be/TflIkIwd37c clip_ Il nuovo esperimento

 

Bellezza di un mondo che nessuno vedrà mai, poesia di equazioni matematiche, interrogativi filosofici dietro alla ricerca scientifica: «Il senso della bellezza», del regista italo-svizzero Valerio Jalongo, mostra tutto ciò. Presentato in prima mondiale al festival Visions du réel a Nyon, il film è molto di più di un nuovo documentario sul CERN

In nove capitoli densi di domande e risposte anche di segno opposto, il film svela il significato del proprio titolo nella pratica della curiosità, della conoscenza, alternando a immagini della natura come la conosciamo e la percepiamo, ad altre, artistiche, in altissima definizione provenienti dalle opere di artisti internazionali, che la ricreano ispirandosi alle scoperte della fisica: oltre a The Weather Project della star Olafur Eliasson, la danza delle particelle dello scienziato artista David Glowacki, l'interazione tra onde sonore e acqua di Alexander Lauterwasser, le esperienze cinetiche di Paul Prudence, la prefigurazione del mondo quantico nelle fluttuazioni create da Markos Kay, le installazioni umane di Antony Gormley, gli ambienti immersivi di Evelina Domnitch e Dmitry Gelfand, le esplosioni elaborate da Fabian Oefner, le sequenze di design 3D di Robert Hodgin, a cui si devono le immagini finali, la ricerca sul suono di Carla Scaletti, le ambientazioni spaziali di Charles Lindsay e le fotografie di Michael Hoch.

Su tutto aleggiano, con un sentimento misto di terrore e stupore, accrescendo la grandiosità dell'opera, le partiture orchestrali originali di Maria Bonzanigo e Carlo Crivelli. Oltre all'idea che da Eraclito a oggi, la natura si nasconda e non risponda a una simmetria perfetta; e in parallelo, che la bellezza di un'opera d'arte coincida con quella di ogni scoperta scientifica. Questo ambizioso, documentatissimo film saggio che riprende l'LHC come il Discovery One di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick (1968) e procede come Cave of Forgotten Dreams di Werner Herzog (2010) oscilla quindi tra mistero e rivelazione, immagini e numeri, occhio e cervello, ordine e caos, bellezza e verità, semplicità e complessità. Senso e mancanza di senso, come se l'unica strada percorribile per l'uomo fosse quella del dubbio. Nelle parole della direttrice Fabiola Gianotti, «Mia madre spesso mi chiede: ma queste particelle, le vedete o non le vedete? E se non le vedete, come fate a dire che esistono?» 

Valerio Jalongo lo ammette senza pudore: «All’inizio non sapevo gran che sul CERN  e d’altronde a scuola non ero molto bravo in matematica e fisica». Eppure il laboratorio di tutti i superlativi affascina il regista italo-svizzero. Una prima visita agli stabili nella periferia di Ginevra («un po’ deludente», perché di fatto sono banali), una serie di conferenze ed incontri, ed ecco che Valerio Jalongo lancia un progetto che l’occuperà per tre anni. 

Il senso della bellezza”, coproduzione italo-svizzera, non è un film didattico. Il bosone di Higgs, la supersimmetria, l’energia oscura, il muro di Planck… questo mondo che si misura in miliardesimi di millimetro e di secondo viene soltanto evocato nel documentario. «La grande sfida era di mostrare delle immagini, mentre le particelle elementari che vengono studiate al CERN restano invisibili», spiega il regista. 

 

Sesto senso

 

Parlando con gli scienziati, Valerio Jalongo si è reso conto che avevano qualcosa in comune con gli artisti: «L’immaginazione, senza dubbio, ma anche il senso della bellezza, una specie di sesto senso che utilizzano per avvicinarsi alla verità». Il legame non è nuovo: molti grandi scienziati del passato erano anche artisti o viceversa (all’immagine di Leonardo da Vinci) e i fisici del CERN, che lavorano per svelare i misteri della natura, sono inevitabilmente anche filosofi.

Per gli scienziati, tra l’altro, più una teoria o un’equazione è «bella», più ha una possibilità di essere giusta. «Non esiste una definizione matematica della bellezza, ma la si riconosce vedendola», ha detto uno di loro di fronte alla telecamera. 

«Macchina poetica»

Nel film la bellezza si vede e si sente. Immagini di sintesi che simulano il moto delle particelle, graziosi intrecci di corpi di ballerini-contorsionisti o gocce d’acqua che si contorcono sul vetro di un retroproiettore: gli artisti sanno rendere a meraviglia questa sensazione di sfiorare l’essenza della creazione. 

A queste immagini culturali, il regista ha scelto di associarne altre, naturali: fiumi, foreste, pioggia, vento, ma anche eruzioni solari e balli di corpi celesti sono di una bellezza mozzafiato. 

Con l’ausilio di droni, per conferire una vera altezza all’immagine, Valerio Jalongo ha anche filmato nelle cattedrali barocche d’Italia e nei tunnel del CERN, dove ruggisce il grande acceleratore di particelle, l’LHC. «È la più grande macchina del mondo, ma una macchina poetica, nel senso che non produce nulla, non serve a nulla…».

Valerio Jalongo al microfono di Marco Zucchi (RSI)

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Al termine di un viaggio lungo 75 minuti (accompagnato dalla musica di Maria Bonzanigo e Carlo Crivelli, interpretata dall’Orchestra della Svizzera italiana), non sappiamo ancora come funziona questo mondo dell’infinitamente piccolo, dell’infinitamente veloce, dell’infinitamente caldo ed energetico. La materia che viene studiata al CERN risponde alla legge quantica, che sembra sfidare la ragione. 

Una particella può essere allo stesso tempo un «granello» di materia e un’onda, girare su sé stessa simultaneamente nei due sensi o attraversare un muro passando per due buchi alla volta. «È come portare un maglione che è al contempo rosso e verde», riassume un fisico. Ma cosa importa alla fine? L’obiettivo di Valerio Jalongo non era questo. Il regista voleva più che altro mostrare che la scienza è bella come la natura che descrive. Per lui, il CERN «è un modello di collaborazione disinteressato tra persone che non cercano nient’altro che la conoscenza. È importante sottolinearlo di fronte a coloro che si sentono esclusi dal sistema».

Al CERN il sistema è completamente aperto e il film lo ricorda bene: non ci sono segreti, né brevetti; tutti i risultati sono accessibili al mondo ed è proprio per farli circolare che l’istituzione ha inventato il World Wide Web. Non ci sono nemmeno bandiere nel laboratorio più grande del mondo, dove s’incontrano arabi e israeliani, russi e ucraini, pakistani e indiani, uniti dalla passione per la conoscenza… e dal senso della bellezza.